Il giardino delle meraviglie. Il sorprendente fascino della natura domestica

Come progettare gli spazi esterni dei servizi educativi per sostenere, incentivare e favorire le attività di educazione all’aria aperta?
E’ un tema molto attuale ed estremamente affascinante.
Basta scorrere, anche distrattamente, le immagini di qualche giardino per l’infanzia realizzato nel nord europa per cogliere modalità di utilizzo e una visione della sicurezza profondamente diverse dalla nostra. D’istinto viene da chiedersi come mai i giardini nordici abbondino di sabbia, sassi, rocce ed acqua mentre da noi questi materiali, sicuramente non estranei all’ambiente italiano e all’esperienza della maggior parte dei suoi abitanti, sono banditi o osteggiati. D’istinto si percepisce la vastità e la portata di un argomento in cui gli aspetti tecnici e normativi appaiono intimamente connessi a quelli culturali e si coglie l’inadeguatezza e la povertà (di pensiero, di risorse, di esperienze) con cui, troppo spesso, vengono trattate tematiche così complesse. Quali materiali, quali attrezzature, che tipo di vegetazione, quali combinazioni tra i diversi elementi, quali allestimenti sono più indicati per accompagnare le attività di educazione all’aperto? e le soluzioni più adatte per un nido saranno valide anche nelle scuole dell’infanzia (e nelle primarie e negli spazi pubblici…)? e gli interventi pensati per i bimbi normodotati saranno efficaci anche per i bambini con difficoltà? ….
Tema affascinante ma anche, in particolare per un educatore, potenzialmente insidioso. La ricchezza dei giardini danesi o tedeschi può infatti provocare sentimenti contrastanti: da un lato entusiasmi e spinta al cambiamento ma anche, dall’altro, scoramento e sfiducia, frutto di un approssimativo e speditivo confronto con il proprio spazio esterno; ecco allora avvicinarsi un facile alibi pronto a giustificare il mantenersi di consolidate abitudini: “ bello stare all’aperto in un giardino così, ma per noi con tutta la polvere e il fango, sotto al sole, con le api, con i rametti che possono infilarsi negli occhi…; per noi che non abbiamo la sabbia, l’acqua, i tunnel di salice e i massi ciclopici….; per noi stare in giardino è proprio impossibile”.
Per fortuna l’esperienza di questi anni testimonia che la realtà è molto più complessa e sfaccettata ed è possibile fare molto anche in situazioni che appaiono poco stimolanti e con forti limitazioni.
Uno degli aspetti che il progetto bolognese di educazione all’aria aperta ci sta raccontando, è quanto sia diversa, in persone differenti, la percezione di un medesimo spazio. Per me, ad esempio, passare alcuni minuti, o anche delle mezz’ore, ad osservare la fioritura di una pianta di lavanda è un’esperienza ogni volta interessante, coinvolgente e spesso sorprendente. Attorno alle spighette, soprattutto nelle ore più calde delle giornate senza vento, è tutto uno svolazzare di insetti: le api, innanzi tutto, e poi una grande varietà di ditteri (tra cui anche i sirfidi che alle api assomigliano nell’aspetto, caso esemplare di mimetismo batesiano), alcuni coleotteri e tantissime farfalle. Nella bordura di lavanda attorno all’orto del Parco Villa Ghigi, in giugno, assieme ai bambini del centro estivo, ne abbiamo contate più di una decina di specie: Macaone, Podalirio, Vanessa dell’ortica, Vanessa del cardo, Vanessa Io, Vulcano, Galatea, Pafia, Cavolaia, Aurora, Argo e naturalmente il Macroglosso (Macroglossa stellatarum) uno sfingide che per me ha sempre avuto un fascino particolare. Al fiorire del gelsomino che cresceva sul terrazzo della mia casa di bambino compariva, atteso ma sempre sorprendente, e ho trascorso molte ore osservandolo mentre succhiava il nettare con la sua lunga spirotromba librandosi in un volo immobile in prossimità delle corolle. Allora pensavo si trattasse di un colibrì e mi chiedevo da dove venisse e dove ritornasse, immaginando, ricucendo le mie frammentarie conoscenze ornitologiche, epiche migrazioni dal Sud America.
Per quanto mi riguarda credo non si possa rimanere indifferenti di fronte alla fioritura della lavanda, davanti a un tale sfoggio di ricchezza, varietà e bellezza; per molti la pianta sarebbe da eradicare o da trattare con il napalm alla comparsa dei primi pronubi.
A ben pensarci non c’è nulla di strano perché ognuno di noi legge il mondo che ha attorno a partire dalle conoscenze e dalle esperienze che ha maturato e va maturando nel corso della propria vita.
Molte delle educatrici e delle maestre coinvolte nella formazione sull’educazione all’aria aperta che la Fondazione Villa Ghigi e il Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Bologna stanno proponendo, ormai da cinque anni, a numerosi servizi educativi di Bologna e provincia, raccontano come e quanto si trasformi il giardino nel momento in cui lo si inizia ad utilizzare in maniera differente: con una maggiore frequenza, lasciando più libertà di azione ai bambini, sviluppando una crescente attenzione e consapevolezza nei confronti di quanto avviene all’aperto.
Qualche esempio? Ecco cosa riportano le educatrici del nido Villa Teresa di Bologna: “Nello stare all’aperto abbiamo per prima cosa messo in atto una semplice operazione fisica: ci siamo piegate, sedute… abbiamo artificialmente ridotto la nostra altezza per metterci a livello degli occhi, delle orecchie, dei nasi, delle bocche, delle mani, dei piedi dei nostri bambini. Da questa nuova altezza abbiamo visto un mondo nuovo, più grande, più ricco di particolari da scoprire… “ o le educatrici del nido Patini di Bologna “In giardino abbiamo delle capanne di legno fatte di tronchi dove i bimbi ogni tanto provavano ad arrampicarsi. Noi glielo abbiamo sempre impedito perché pensavamo fosse pericoloso ma all’inizio di quest’anno abbiamo deciso di lasciarglielo fare. Noi non li aiutiamo nella scalata ma gli stiamo vicino e li incoraggiamo nella loro attività. Molti grandi già riescono ad arrivare fino in cima, altri ci provano con impegno e continuano a migliorarsi. I piccoli a volte tentano ma ancora non riescono. Da quando l’arrampicata è permessa lo spazio che ospita le capanne è molto più usato e pur essendo rimasto identico per noi e per i bambini è cambiato profondamente perché offre opportunità e emozioni nuove e tutte da esplorare”.
Quanto detto non deve significare che ogni giardino, comunque sia, vada bene e che dobbiamo comunque tenerci i nostri spazi esterni disadorni, pieni di buche e di polvere. Il senso è un altro. Il nostro spazio esterno richiede di essere vissuto, in ogni caso: con il freddo e con il caldo, con la pioggia e con il secco, svolgendo attività libere o strutturate, con il piccolo e grande gruppo. Frequentarlo significa conoscerlo, può voler dire affinare e mutare lo sguardo e questo è già parte integrante e imprescindibile del progettare.
Nel livello avanzato della formazione sull’educazione all’aria aperta abbiamo coinvolto i gruppi in un lavoro di osservazione e indagine del loro giardino scolastico con l’obiettivo di approfondirne la conoscenza e riportare le informazioni raccolte su una serie di mappe tematiche. Una prima esplorazione permetteva di individuare i tematismi significativi in quello specifico contesto (percorsi, alberi, erbe, animaletti, terra, giochi e arredi, sole e ombra, suoni, visuali, profumi, giaciture, punti di interesse per i bimbi e per gli adulti, pericoli, opportunità…) e una serie di approfondimenti successivi, sempre svolti sul campo, consentiva di sviluppare i temi prescelti. Ad esempio, ragionando attorno agli alberi, in ogni giardino abbiamo provato a suggerire e a rispondere ad alcune domande tipo: quanti alberi? dove? quali? con che caratteristiche? con quale ciclo biologico e stagionale? quali opportunità possono offrire a bambini e educatori?
Dal lavoro è emerso, tra le altre cose, un senso di stupore e meraviglia nello scoprire come spazi utilizzati migliaia di volte fossero ancora in grado di regalare sorprese inattese e una ricchezza inaspettata. Questo è vero in termini generali (“nel nostro giardino abbiamo trovato 7 diversi tipi di superfici calpestabili: prato, terra battuta, cemento, asfalto, lastre di graniglia, legno, quadrotti di gomma. Non pensavamo ci fosse tanta varietà“.) ma è vero, e particolarmente stimolante, soprattutto per quanto riguarda gli elementi naturali. Nella maggior parte dei giardini ci sono diverse specie di alberi e di arbusti; oltre una decina di differenti erbe popola i prati anche più stentati e sfruttati; tantissimi animaletti vivono nei differenti ambienti che caratterizzano ogni spazio verde: nel terreno, tra le chiome degli alberi, nelle crepe delle cortecce, sulle corolle dei fiori, alla base della casetta…. Cercarli, osservarli, posizionarli sulla mappa, provare, per quanto possibile, a identificarli è stata un’attività per molti totalmente nuova da cui sono nati numerosi interrogativi.
Ad esempio, in autunno, sempre limitandosi al tema alberi, la restituzione ai colleghi delle osservazioni fatte dal gruppo specifico è stata in genere di questo tipo: “in giardino ci sono 7 o forse 8 differenti specie di alberi (in un caso le foglie si somigliano molto) disposti soprattutto lungo il confine. Abbiamo riconosciuto l’ippocastano, il platano, la quercia e il pino, ma forse è un abete” in realtà nella maggior parte dei casi le conifere presenti in giardino sono dei cedri ” mentre gli altri non li riconosciamo. Di alcuni abbiamo trovato anche i frutti: la ghianda, la castagna, una specie di noce che odora di limone e macchia. Francesca, che lavora in questa scuola, su alcuni alberi ha visto anche i fiori, sull’ippocastano e su un altro tipo che ha le spine e in primavera fa dei fiori bianchi. Sugli altri alberi i fiori non ci sono o forse non si vedono. Da terra abbiamo raccolto tante foglie con colori e forme differenti, molti rametti (anche spinosi), dei frutti. Una castagna sta germinando (si riesce a far crescere l’alberello in aula?) e su una ghianda c’è un piccolo foro fatto forse da un insetto. Sulle cortecce abbiamo trovato muschio e delle specie di croste grigie e gialle…Di cosa si tratta? Come possiamo identificare anche gli alberi sconosciuti”?
Se non esiste un interesse personale, le conoscenze naturalistiche di maestre e educatrici sono in genere piuttosto limitate (come del resto quelle della maggior parte delle persone) perché si ritiene che abbiano poco a che fare con le competenze proprie di un educatore. La formazione universitaria non le contempla, l’esperienza quotidiana, anche se potrebbe continuamente sollecitarle (i bambini, si sa, sono molto attratti e sensibili alla natura e a tutti i suoi elementi viventi e non), le frequenta poco; almeno sino ad ora.
Oggi, che in numerosi servizi, certamente per quanto riguarda il nostro territorio, il baricentro delle attività educative si sta spostando verso l’esterno, potrebbe essere sicuramente interessante avere un gruppo di educatori competenti di natura e sarebbe curioso e piacevole vedere bimbi treenni impegnati a studiare i comportamenti del pirrocoride o le preferenze alimentari delle chiocciole e quante storie fantastiche e sapienti potrebbero prendere spunto dalla biologia degli afidi, degli imenotteri sociali o dei ragni.

Alcuni giorni fa mi è capitato di fare una cosa per me usuale ma per certi versi anche inedita. Ho dedicato parte della mattinata ad esplorare il giardino della mia casa per scoprire che cosa aveva da proporre di interessante per quanto riguarda gli aspetti naturalistici. E’ una cosa che faccio frequentemente, con le classi, con i bambini dei centri estivi, con i docenti in formazione, ma penso di non averlo mai fatto in maniera così deliberata nel mio giardino.
Abbiamo la tendenza, o forse la necessità, di organizzare i tempi e gli spazi della nostra vita in maniera piuttosto rigida. La natura si osserva dal lunedì al venerdì al Parco Villa Ghigi (o al Parco Grosso, o lungo il greto del fiume o nei giardini scolastici o nei tanti luoghi dove mi capita di lavorare) mentre la domenica nel giardino di casa si taglia il prato e si vanga l’orto. A ben pensarci è assurdo e anche pericoloso. Per tanti la natura è il fine settimana o le vacanze estive; è la montagna, il parco naturale, il paradiso tropicale. E’ qualche cosa di altro, lontano nello spazio e spesso nel tempo, rispetto alla quotidianità di una vita che non la contempla, non la cerca, non la vede.
Lo sappiamo che non è così; la natura ci circonda, ci accompagna, ci sostiene in ogni momento e in ogni luogo. Dobbiamo solo provare a ricordarcelo e guadagnare un poco di tempo e di curiosità per sperimentarlo.
Esco oltre la porta e inizio l’esplorazione. Il giardino è pianeggiante (capita spesso nella bassa bolognese), alcune centinaia di metri quadrati in mezzo alla campagna. Un grande pioppo nero alto più di 20 metri, una siepe di olmo, acero campestre, sanguinello, rosa selvatica e prugnolo, due giovani querce, qualche albero da frutto (melo, albicocco, biricoccolo, pruno, fico, giuggiolo), lo spazio dell’orto, una macchia di aromatiche e il prato. Il prato è umido e ricco di reperti (non lo taglio da qualche settimana) provenienti in buona parte dagli alberi.
Tante foglie secche di colore e consistenza differente; rametti di pioppo (cascola dovuta a senescenza, bisognerà decidersi a far ridurre un po’ la chioma) con la gemma apicale profumata di propoli; diverse ghiande germinanti (ed è possibile ricostruire una sequenza passo passo: compare la radichetta, si allunga nel terreno, compare il germoglio e poi anche le prime foglioline tutte contratte e spiegazzate); una mela marcia, forse beccata da qualche uccello; una penna, probabilmente di tortora; un nido di merlo, a un metro e mezzo di altezza, su un acero della siepe (me ne accorgo solo ora dato che sono ormai cadute le foglie… chissà se mamma merlo è riuscita a portare a termine la cova, chissà quante uova….); tracce di minatori sulle foglie di acero; due tipi di galle sui rametti di quercia (Andricus quercuscalicis, Biorrhiza pallida); la striscia argentea e il guscio vuoto di una chiocciola; l’ooteca di una mantide religiosa, vero prodigio di ingegneria, su una tavola della legnaia; un pezzo di corteccia con dei licheni del genere parmelia (sono veramente affascinanti; mi è capitato di proporre, a ragazzini degli ultimi anni della primaria, un gioco consistente nel porre sotto lo stereomicroscopio dei reperti tenuti celati per cogliere le diverse suggestioni stimolate dalla visone ingrandita. La parmelia, a un centinaio di ingrandimenti, disegna un selvaggio paesaggio lunare); l’infiorescenza della margherita, del tarassaco (il piscialletto), della cicoria e dell’achillea; le centinaia di ombrellini che formano il soffione (l’infruttescenza del tarassaco) pronti a disperdersi con il vento; una cacca secca di Pippi (il cane di casa) con sotto un piccolo coleottero scuro non identificato; un opilione (sembra un ragno ma ha il corpo a forma di o) sul muro meridionale della casa; un ragno del genere Pholcus (con quelle lunghe zampe sembra proprio un opilione ma ha il corpo a forma di 8 e costruisce la tela. E’ sullo stipite esterno della porta di ingresso e penso sia uscito perché all’interno ci sono troppi confratelli e la competizione è alta. Urge una bonifica, ma questo è un problema indoor e per oggi non ce ne curiamo).
La lista, ovviamente, potrebbe continuare ancora e a lungo.
Ma quale può essere il senso di un’attività come questa? E può avere un valore, per una educatrice di nido o una maestra di scuola dell’infanzia, dedicare energie e tempo a conoscere meglio la natura che ha attorno, appena fuori dalla porta? Noi, alla Fondazione Villa Ghigi (e ovviamente non siamo i soli) pensiamo sia importante e non solo e non tanto per accompagnare i bambini nelle loro esplorazioni fornendo stimoli e informazioni, ma soprattutto per avere uno sguardo nuovo nei confronti di uno spazio, quello del proprio giardino scolastico, che probabilmente comincerà a cambiare se riusciremo a salutare con il loro nome, come dei vecchi amici, le sette specie di alberi, le quindici erbe e i dodici insetti con cui condividiamo le nostre giornate scolastiche.
E allora, per finire, ecco per voi, educatori curiosi di natura, una piccola sorpresa: dimmichisei un semplice sito che si propone di fornire delle risposte (magari a volte un po’ approssimative) alle tante curiosità relative all’identificazione degli organismi. La speranza è quella di offrire un contributo concreto alla scoperta dell’avvincente e preziosa diversità che la vita è in grado di esibire anche in ambienti a prima vista molto comuni, come lo spazio verde di una scuola. L’augurio è quello che possa essere un piccolo aiuto per cominciare a sviluppare, attraverso la conoscenza, una crescente familiarità e confidenza con il proprio giardino scolastico, in modo da rendere le esperienze all’aperto dei bambini sempre più ricche di emozioni, osservazioni e scoperte.

Paolo Donati, educatore ambientale

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