Si può fare!
Lo scorso 16 dicembre, in una Aosta innevata, sono stato invitato a un convegno che ha affrontato il tema della dimensione pedagogica del rischio nelle esperienze all’aperto. E’ stata l’occasione per ragionare un po’ sull’esperienza che ormai da diversi anni, la Fondazione Villa Ghigi, ovviamente non da sola, sta sviluppando nei nidi e nelle scuole dell’infanzia bolognesi e mi fa piacere provare a condividere qualche pensiero intorno a questo argomento.
Inizierei con il racconto di una maestra di una scuola dell’infanzia di Bologna raccolto durante la formazione sull’educazione all’aria aperta che negli ultimi anni ha coinvolto tutto il personale di tanti servizi cittadini.
“Al centro del nostro giardino c’è una grande buca, un vero e proprio cratere. La manutenzione è venuta per riempirla di terra ma i bambini hanno ripreso gli scavi e, dato che ha anche piovuto, hanno utilizzato il fango fresco per dipingere la casetta vicina. Dopo un paio di giorni la buca si era già riformata ed era ancora più grande di prima. All’open day, quando siamo andati a visitare il giardino, una mamma ha visto la buca ed è rimasta profondamente colpita, quasi scandalizzata, di come in una scuola potesse permanere una situazione così pericolosa.
Signora, le ho risposto, la buca è probabilmente pericolosa per lei, che il giardino lo vede per la prima volta, ma per noi maestre e soprattutto per i bambini sicuramente no; i bimbi poi nella buca ci passano delle ore, loro dentro ci finiscono per scelta, non certo per sbaglio. La buca può essere una trappola per chi non la conosce ma per noi insegnanti e in particolare per i bambini che l’hanno creata e la frequentano quotidianamente è parte integrante del giardino, della sua storia e della sua geografia”.
Un piccolo esempio per avvalorare un concetto in realtà piuttosto ovvio: la percezione del rischio è un aspetto profondamente soggettivo ma nello stesso tempo è anche fenomeno culturale; si nutre del sentire comune, di una sorta di humus che in un dato luogo e periodo permea una società.
L’impressione, frequentando le scuole bolognesi, in particolare i nidi e le scuole dell’infanzia, è che rispetto alla percezione del rischio una qualche, magari piccola, trasformazione sia in corso.
Qualche segnale?
Il numero crescente di bambini e insegnanti che frequentano i loro giardini scolastici anche d’inverno e in condizioni, sotto la pioggia o durante una nevicata, che, fino a poco tempo fa, i più consideravano proibitive e rischiose per la salute.
La diversa accoglienza riservata all’interno degli spazi scolastici ai materiali naturali a cominciare dai bastoni.
La nascita nei giardini scolastici di piccoli e semplici allestimenti come aree per lo scavo, depositi di rami o sassi, tane, capanne, percorsi di tronchi e rondelle, strutture di corde come ponti, reti, altalene che in genere venivano letti come rischiosi anche perché prevedono in genere da parte dei bambini un utilizzo autonomo e poco strutturato.
L’aumento delle sezioni di scuola dell’infanzia e di nido che decidono di passare una o più giornate al parco Villa Ghigi e anche in altre aree verdi della città, affrontando le fatiche e anche i possibili rischi legati all’uscita dai confini della propria scuola per vivere un’esperienza di immersione nella natura.
La comparsa e la progressiva crescita presso il call center attivato dalla manutenzione del verde pubblico bolognese di richieste finalizzate a mantenere o accrescere la diversità e la ricchezza biologica dei giardini. Un numero crescente di scuole sta facendo domanda per posporre o evitare la raccolta delle foglie a terra, o per usufruire dei materiali (tronchi e loro sezioni, rami e ramaglie) derivanti dalle operazioni di abbattimento e potatura, o per limitare le potature degli alberi in maniera che i bimbi riescano a raggiungerne le chiome, o per preservare dagli sfalci primaverili porzioni di prato, o per creare punti d’acqua, o per mettere a dimora alberi e arbusti, o per realizzare aiuole ortive, ecc.
Il sentirsi raccontare sempre più spesso, da genitori e insegnanti, i benefici del vivere maggiormente e più liberamente il contatto con la natura, riconoscendo nei concetti espressi e anche nelle parole utilizzate quanto sei andato raccontando e scrivendo nel corso degli ultimi anni.
A questo punto vale la pena provare a ragionare un po’ sulle condizioni che a Bologna stanno determinando questi cambiamenti. Di seguito qualche concetto per provare a schematizzare, anche se è subito evidente che i diversi aspetti si intrecciano e influenzano reciprocamente.
Una prima parola che mi piace ricordare è esperienza. A Bologna svariate decine, direi alcune centinaia, di insegnanti frequentano con intenzionalità educativa i loro giardini scolastici e si confrontano quotidianamente con il tema della sicurezza sperimentando gli spazi esterni e i materiali naturali e affinando progressivamente le pratiche legate al loro utilizzo. Quello che stanno cercando di fare è portare avanti insieme il pensiero e l’azione perché l’uno si nutra dell’altro così da riuscire a elaborare l’esperienza vissuta e a sperimentare quanto viene di volta in volta elaborato. Mi vengono in mente alcuni esempi per provare a spiegare meglio in cosa consista questa sinergia.
Alcune settimane fa ho passato una giornata assieme ai bambini e alle educatrici dei Passerotti che è una scuola dell’infanzia privata convenzionata. I bambini e le insegnanti dei Passerotti stanno all’aperto. La direttrice, che è anche una delle insegnanti, mi raccontava che nella scorsa primavera si è diffusa tra i bambini l’attività di usare i bastoni come spade; le disfide si svolgevano continuamente e coinvolgevano più bambini nei diversi punti del giardino creando situazioni difficilmente controllabili. Le risposte potevano essere diverse ma si è scelto di non percorrere la via del divieto impedendo questo utilizzo dei bastoni ma, facendo tesoro delle esigenze dei bimbi, si è deciso di affrontare il problema cercando di definire delle regole condivise che ne permettessero una gestione. Così il giardino si è arricchito di un nuovo spazio, l’arena, l’unico, quando è aperto, dove è possibile praticare questo gioco sotto gli occhi attenti di una insegnante.
Altro piccolo esempio. Sempre recentemente mi è capitato di incontrare per una formazione un nutrito gruppo di educatrici di nido di un distretto del modenese e come spesso capita un’educatrice di un nido aziendale presentava in toni apocalittici il proprio spazio verde. Questa volta però, dalla descrizione, la situazione sembrava veramente proibitiva per cui mi sono venute in mente due considerazioni: la prima, che ho tenuto per me, è come sia possibile autorizzare l’apertura di un nido senza uno spazio esterno dignitoso; la seconda, che ho condiviso, è quella di provare a uscire dai confini scolastici per cercare fuori un luogo adeguato a vivere le esperienze in natura. In effetti non lontano dalla scuola esisteva un parco ricco e accessibile senza grandi difficoltà ma non potevano raggiungerlo perché era stato loro imposto un rapporto di 1 adulto ogni 2 bambini ogni volta che si varcava la soglia del cancello. Il coordinatore pedagogico mi ha confermato l’esistenza di questa norma decisa dal coordinamento pedagogico; in definitiva, dato che le educatrici hanno due mani, due sono anche i bambini che possono prendersi in carico una volta uscite al di fuori dai confini scolastici. Non c’è dubbio che si tratti di una regola pensata per garantire la sicurezza dei bambini; questa è forse una condizione sufficiente per renderla saggia e lungimirante? Per quanto mi riguarda direi di no. Se dovessi definirla con un paio di aggettivi mi verrebbe da descriverla come rozza e grossolana.
A proposito di sicurezza, mi è capitato di leggere recentemente sull’interessante inserto “Costruire cucine di fango”, uscito a cura di Michela Schenetti nel numero del novembre 2016 delle riviste Infanzia e Bambini, questa considerazione che mi è sembrata assolutamente condivisibile: “bisogna passare dall’organizzare un setting da sicuro il più possibile a sicuro quanto basta”.
Il concetto è suggestivo ma cosa significa sicuro quanto basta?
Il quanto basta ha certamente a che fare con la ricchezza, la diversità e la variabilità dei contesti e delle situazioni in cui si opera e quindi l’unica condizione in grado di aiutarci a definire il più corretto (utile, efficace…) livello di sicurezza, (il sicuro quanto basta) credo sia il ricorso a un’esperienza attenta e consapevole.
Ritornando alla norma precedente, l’ho definita rozza e grossolana perché incapace di prendere in considerazione le tante variabili che possono influenzare un’esperienza che in questo caso viene di fatto negata: i bambini non sono tutti uguali, la meta da raggiungere può essere più o meno lontana, il percorso più o meno complesso, le educatrici più o meno esperte e magari per uscire, al posto della corda reputata insicura, potrei decidere di utilizzare un fantastico carrettino…
Un approccio diverso è possibile. Nei servizi del Comune di Bologna, ad esempio, non esistono rapporti numerici specifici per quanto riguarda le uscite nel territorio e per provare a gestire i rischi insiti nell’attività all’aperto si sta proponendo l’utilizzo di uno strumento denominato “Piano annuale rischi-benefici” che si propone di individuare e analizzare nei diversi contesti le situazioni potenzialmente pericolose per poi definire le necessarie strategie per fare fronte ai possibili problemi al fine di riuscire a cogliere i benefici che quella situazione sarà in grado di stimolare.
Banalizzando si tratta di avere le idee sufficientemente chiare rispetto a quello che si vuole fare attraverso uno strumento in divenire che dialoga con l’esperienza e può essere condiviso con colleghi e famiglie.
Ecco allora un’altra parola importante: condivisione. Nei nidi e nelle scuole dell’infanzia di Bologna la percezione del rischio sta, forse, lentamente cambiando anche perché le esperienze all’aperto e le scelte che le motivano sono, per quanto possibile, condivise e questa è sicuramente una condizione importante per provare a condividere anche le responsabilità. Scegliere di privilegiare il contatto diretto con la natura, di uscire dalle aule quotidianamente anche con il cattivo tempo, di favorire il gioco con gli elementi naturali, di dare fiducia ai bambini offrendo maggiori autonomie, di esplorare il territorio anche fuori dai confini scolastici non è l’idea di qualche insegnante originale. Queste scelte indirizzano i PTOF di decine di scuole, sono oggetto di percorsi di formazione con educatori e insegnanti e di incontri con le famiglie, argomento di convegni, tema di ricerche universitarie e tesi di laurea e sono fatte proprie dal coordinamento pedagogico cittadino e dai responsabili dei servizi scolastici. Per chi si trova impegnato nella complessa, faticosa, rischiosa ma anche entusiasmante avventura di innovare è molto importante sentire di non essere solo. Sapere che esperienze analoghe non solo esistono ma sono sempre più numerose dona spalle più solide e attraverso questa conoscenza cresce la sicurezza che si può fare, un’altra scuola è senz’altro possibile.
Ancora un altro concetto che mi sembra importante sottolineare: conoscenza. L’aula la conosciamo, quello che sta fuori dalla porta molto meno. Hic sunt leones riportavano le antiche mappe sui territori inesplorati. Ciò che è sconosciuto può rappresentare un potenziale pericolo e quindi potrebbe essere saggio cercare di evitarlo. Nel giardino scolastico, anche in quelli piccoli e banali, ci aspettano centinaia di diversi organismi: erbe, alberi, funghi, insetti, uccelli…. Un mondo affascinante, suggestivo, dinamico, emozionante, complesso e anche, per l’appunto, in gran parte sconosciuto. E allora che si fa? Ci si fida?
Una caratteristica dell’esperienza educativa all’aperto di Bologna è il ruolo importante giocato dagli educatori ambientali. Per stare nella natura in maniera consapevole può essere utile provare a conoscerla un po’ meglio.
Ad esempio, rendersi conto che nel giardino non ci sono semplici alberi ma tigli, aceri o platani, ognuno con le proprie caratteristiche e specificità, vuole dire costruire una rete di relazioni sempre più ricca che ci aiuta a sviluppare il senso di appartenenza per un luogo che diventa sempre più nostro, più conosciuto e quindi via via meno insidioso.
Per un piccolo aiuto nelle attività di esplorazione e conoscenza della biodiversità celata negli spazi verdi scolastici ricordatevi di dimmichisei.
Per finire, credo che oggi non potremmo vantare risultati lusinghieri se a questo percorso fosse mancata una regia. L’Area Educazione e l’Istituzione Educazione e Scuola del Comune di Bologna sono state capaci di leggere le esigenze delle scuole e incanalarne gli entusiasmi fornendo diversi strumenti e alcune indicazioni e questo penso che stia facendo la differenza.
Paolo Donati, educatore ambientale
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Fornisci il tuo contributo!